13 aprile 2013

L’arte (fiacca) al tempo del Salone

 
Sarà il clima instabile o sarà che il 2013 ha colpito anche Zona Tortona e limitrofi Design District? Il Fuori Salone quest'anno non sembra brillare per originalità e per offerta, nonostante mantenga la sua aura di rituale collettivo, dal quale è impossibile sottrarsi. Ma che fa l'arte durante la Design Week? E com'è il clima generale della manifestazione più attesa dell'anno a Milano?

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Fiera della micro editoria indipendente negli spazi delle Officine Creative Ansaldo

Si pensa che a Milano arte contemporanea e design possano in qualche modo, se non collimare, almeno collaborare. Forse se per “collaborazione” si intende affittare a caro prezzo i propri spazi o la propria galleria all’offerente migliore, non sempre sul profilo estetico, che cerca un punto di visibilità nelle aree contagiate dal percorso del Fuori Salone -Ventura Lambrate, Brera, Zona Tortona o Paolo Sarpi- allora si, i due ambiti collaborano. Se vi aspettate invece di vedere arte contemporanea, durante il Salone del Mobile,  resterete un po’ delusi. 
Certo, la città ha lanciato per l’occasione l’iniziativa MMM “Museo Metropolitano Milano”, ovvero ingressi gratuiti in tutte le istituzioni civiche della città, compresa Galleria d’Arte Moderna e Museo del Novecento, che offre ora le stampe di Warhol proveniente dalla collezione della Merryl Linch. Per il resto  però tutto è improntato all’arredamento e ai suoi derivati. Ma chi si aspettava mirabolanti visioni quest’anno avrà l’amaro in bocca. Il Fuori Salone, da Tortona a Ventura, sembra decisamente sottotono rispetto agli anni precedenti e alle belle edizioni del 2011 e 2012, dove vagando qui e là, dall’Ansaldo all’Emporio 31, da via Massimiano a Brera, un po’ di arte, seppur nascosta all’ombra del progetto, sembrava scorgersi. Quello che invece si scorge in questa edizione è un design quasi pret-a-porter, dove negli spazi del Superstudio e in quelli adiacenti hanno trovato posto veri e propri stand-bancarella, dove non sembra affollarsi la sperimentazione più audace, ma dove anche il progetto ha ripreso forme quasi comuni. Forse particolarmente vendibili. I più trasgressivi, invece, non mettono in scena prodotti ma videoinstallazioni, con il risultato che si può immaginare. 
Picasso d'Oro, veduta della mostra

Eppure, se cercate arte qualche perla, nascosta e ai quattro angoli della città, si può trovare. Cominciamo dal punto più a nord: via Padova 93. Qui, nel seminterrato di un condominio anni Settanta Roberto Ago ha messo in scena, per una manciata di giorni, la collettiva “Picasso d’Oro”, una convergenza tra arte e design che mischia Flavio Favelli, con l’eterno dualismo Coca-Cola/ Fanta fino ad arrivare al Piano Marshall, in una bottiglietta che è un gioiello, alle rivisitazioni minimal di Giulia Cenci che guarda a Felix Gonzalez-Torres e a Walter De Maria attraverso una serie di neon che assomigliano ad un “campo di fulmini” in miniatura e in orizzontale, e le pitture “su piatto” di Luca Bertolo con la funzionalità di una coppia di spremiagrumi di quarant’anni fa, un po’ Munari un po’ “coppie” di De Dominicis. «Una collezione di paesaggi emotivi, prima ancora che di prodotti. Se il design può trovare eco artistiche e complessità semantiche inaspettate, l’arte può interrogare sé stessa e il mondo da una prospettiva decisamente inedita e sperimentale», scrive Ago. 
Nulla di più azzeccato, perché se è vero che il titolo di questa mostra aliena, per composizione e per location, è un esplicito riferimento al “Compasso d’Oro”, è altresì vero che stavolta la disputa si gioca anche sul fronte dell’arte visiva. Si genera così una sorta di giudizio impossibile, dove i piani spesso si confondono, e dove la percezione velocemente si satura di informazioni, in un continuo ping-pong tra forme e riferimenti. Un passaggio fulmineo e coraggioso, che evidenzia forme che oggi sembrano essersi perse dietro il linguaggio della “corruzione” dell’opera.
Marco Paganini, Due o tre gocce di ALTEZZA, spazio Natalia Lavrentyeva, Milano 2013  Marco Paganini, Due o tre gocce di ALTEZZA, Spazio Natalia Lavrentyeva, Milano 2013

Altra zona, altra mostra. Anzi due. Da un lato c’è un nuovo spazio, proprio di fronte a Palazzo delle Stelline, aperto dalla collezionista russa Natalia Lavrentyeva, e a pochi passi Riccardo Crespi. La prima tappa è proprio da Lavrentyeva, dove il giovane Marco Paganini è in scena con “Due o tre gocce di altezza”, primo progetto di Francesca Alfano Miglietti, “Attese”, per la neonata galleria. In mostra una serie di opere che richiamano ad un nuovo sistema di segni, dove la matematica e la fisica sono applicate al lavoro in una declinazione multiforme e non rigida, dove i numeri servono come indicazione per l’accadimento, come parte di un’illusione che rapisce lo sguardo anche di fronte ai quadri-specchio, magrittiani e vicini a una sorta di metarappresentazione, seguendo idealmente le immagini delle serie di Duane Michals, dove la bidimensionalità di è affollata di nuove presenze. 
Alberto Biagetti e Laura Baldassari, veduta della mostra -One Minute Ago- Galleria Riccardo Crespi

Da Crespi invece il lavoro pittorico di Laura Baldassari associato alla produzione di Alberto Biagetti in “One minute ago”, a cura di Gabi Scardi. Paesaggi sulla tela e nelle sale, dove le sedie-impagliate-impazzite realizzate da Atelier Biagetti, ma soprattutto i suoi pouf e divani realizzati con materiali industriali quasi allo stato brado, dialogano con intensa continuità con le trame pittoriche di Baldassari, dove l’idea di morfologia e di conformazione geologica sembra essere la chiave per leggere un’affinità che va oltre le singole pratiche, e che trascende la comune idea di arredamento o di pittura “di paesaggio”. 
Se vogliamo aggiungere una quarta mostra, in grado di tracciare molto bene anche una sorta di “clima estetico” che sembra ricondurre a epoche della plastica e alle avanguardie, da Fontana a Burri, bisogna spostarsi da Giò Marconi, tra le incredibili costruzioni polimeriche di Nikolas Gambaroff, tutte virate in una cromia allucinatoria che passa dall’argento al viola di un materiale isolante. 
Insomma, ci sarebbe un po’ di design anche qui, giusto giusto per l’utilizzo di supporti industriali, ma non cerchiamolo dove non serve, che la città è piena. Eppure l’impressione è che, nonostante alcune pregevoli iniziative, come la fiera della microeditoria indipendente alle Officine Creative Ansaldo, dove lo stand più convincente è quello di Foto Marvellini, lab milanese che incornicia su supporti d’epoca le foto dei propri avi, trasformandoli in Superman o l’Uomo Ragno, con un effetto destabilizzante su colori da Barone Von Gloeden, il Fuori Salone sia tutto un po’ sottotono.
Giuliana Cunéaz, Senza titolo V (Rompere le acque), 2012, stampa digitale su cotone, 70x38 cm

Tornando all’arte, di nuovo in zona Tortona, al Temporary Store di Mazda, i virtuosismi “Forma Fluens” di Giuliana Cunéaz, investono lo spettatore di un paesaggio stereoscopico e tridimensionale, soprattutto attraverso la videoinstallazione in 3D Zone fuori controllo (2011-2012): qui la fascinazione per la tecnologia e le immagini passa attraverso le onde di una tempesta, gli spazi misteriosi di una grotta, le colate laviche di un vulcano e la collisione di monumentali iceberg. Una vertigine continua, ma che forse risente un po’ del fatto di trovarsi pur sempre in uno spazio che, al centro, supporta la promozione di un’auto. Ottima invece la personale di Sanford Biggers “Sugar, Pork, Bourbon” da De Carlo. L’artista californiano, di casa a New York, è in mostra con una sintesi dell’ultima produzione, comprendente gli arazzi Quilts, emblemi simbolici e coloratissimi che riscattano gli schiavi del secolo scorso e le loro tradizioni d’appartenenza e d’identità.
Sanford Biggers, veduta della mostra -Sugar, Pork, Bourbon, courtesy Massimo De Carlo

A farla breve, come sempre appare piuttosto difficile raccontare il bello e il cattivo tempo dell’effetto Salone e dei suoi “derivati” artistici in maniera globale. Si può andare per frammenti, raccogliendo le tensioni più esemplari. E se il cortile di via Ventura di Mimmo Scognamiglio è stato invaso dal design svedese di Olof Kolte, che propone un kit tutto organico, dalla borsa per la spesa alla verdura coltivata in strutture di legno, mentre al centro dello spazio è arrivata una piantagione d’insalata da parte di “Orti d’azienda”, sulla strada si sono riversati ambulanti che vendono panini e birre. Il risultato è che Ventura-Lambrate non appare molto diversa da una sorta di festa di quartiere. L’allure appare dimesso, come se non ci si fosse giocati il tutto per tutto ma, in qualche modo, lo stop fosse un attimo prima della caduta nel baratro. Che sarebbe significato fallimento o rinascita. Il risultato invece non è minimal e nemmeno kitsch, ma forse davvero “mainstream”, come recita un tipico personaggio da Salone nell’ironico video di youtube Unofficial Fuori Salone 2013.
Orti d'azienda, in zona Ventura-Lambrate

Tutti in mostra, ma non per stile, quanto per salvare capra e cavoli. L’attesa era stata tanta, caldeggiata dal week end di miart, con i primi party di martedì sera che lasciavano ben sperare, anche in fatto di folla. E invece la galleria del Nhow Hotel è stata trasformata in un’ottica, di lusso ovviamente, e la pedana d’ingresso in un spazio per break dancer; dove le “safety car” dispensatrici di Reb Bull -ci vuole energia per affrontare il tour- e le migliaia di lattine lasciate in giro per Zona Tortona somigliano sempre più a elementi di una passeggiata sulla riviera romagnola in piena estate, che non agli stilemi di una città nella sua settimana migliore. Con quella “roba da Salone” che oggi sembra assomigliare un po’ a materiale da fiera campionaria. 

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