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In Scena: gli spettacoli e i festival della settimana, dal 25 novembre all’1 dicembre
Teatro
In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 25 novembre all’1 dicembre.
Danza e teatro
Il Tokyo Ballet a Bologna
Festeggia nel 2024 il suo sessantesimo anno di attività la compagnia giapponese The Tokyo Ballet dall’agosto 2024 diretta da Yukari Saito, che, dopo i recenti successi delle prime tappe del suo 36esimo tour internazionale, arriva per la prima volta sul palco del Teatro Comunale di Bologna per la Stagione di Danza (il 27 novembre al Comunale Nouveau, e il 29 al Teatro Amintore Galli di Rimini), portando in scena tre celebri coreografie: Il Regno delle Ombre da La Bayadère nella versione di Natalia Makarova dall’originale di Marius Petipa, Roméo et Juliette (pas de deux) e Le sacre du printemps, entrambe firmate dal grande coreografo francese Maurice Béjart. Il sentimento osteggiato è il centro del secondo balletto della serata, Roméo et Juliette su musica di Hector Berlioz, che Béjart mise in scena per la prima volta nel 1966 a Bruxelles: un tentativo di «riunire il romanticismo spensierato di Berlioz e la magia e la tragedia di Shakespeare».
Nella coreografia l’amore si fa rito e forza vitale con Le sacre du printemps sulle note dell’omonimo capolavoro di Igor Stravinskij. «La primavera – affermava Bejart – è qualcosa di più di quella immensa forza primitiva nascosta sotto l’orologio dell’inverno, per emergere improvvisamente e salutare il mondo in tutte le sue forme, vegetali, animali o umane. L’aspetto fisico dell’amore tra esseri umani simboleggia l’atto stesso con il quale il creatore ha dato vita al Cosmo e la gioia che ne è derivata».
Extra moenia, il nuovo spettacolo di Emma Dante
Per il suo nuovo spettacolo, Emma Dante prende spunto da un saggio di fine corso che aveva realizzato alcuni anni fa, quando dirigeva la Scuola del Teatro Biondo. Ma di quel saggio mantiene soltanto la struttura drammaturgica a quadri e alcuni elementi narrativi, come punto di partenza per raccontare la drammatica attualità, provata da guerre, disastri ambientali, odissee dei migranti, violenze di genere, derive autoritarie e soprusi di ogni genere. L’umanità che la regista descrive rispecchia le nostre vite di tutti i giorni, segnate dal disincanto ma anche dalla recondita speranza che possa tornare un salvifico umanesimo.
«Lo spettacolo – spiega Emma Dante – racconta i momenti di una giornata qualunque in cui una comunità si sveglia, si prepara ed esce di casa per affrontare il mondo. Dalla sveglia mattutina, in un crescendo animato di suoni, parole e gesti, senza una trama precisa si susseguono accadimenti legati al presente. C’è un ferroviere, c’è la donna ucraina che scappa dai bombardamenti, c’è il migrante che arriva dal Congo, c’è il militare che esalta la guerra, ci sono due innamorati che si promettono amore ma lei non si decide a sposarlo, c’è una famiglia religiosa, una donna iraniana, due calciatori del Palermo, c’è lo stupro del branco, il mercato, il lungo elenco dei divieti, c’è il grido di protesta e il canto di speranza.
“Extra moenia”, uno spettacolo di Emma Dante, con Verdy Antsiou, Roberto Burgio, Italia Carroccio, Adriano Di Carlo, Angelica Di Pace, Silvia Giuffrè, Gabriele Greco, Francesca Laviosa, David Leone, Giuseppe Marino, Giuditta Perriera, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, luci Luigi Biondi, assistente ai movimenti Davide Celona. Produzione Teatro Biondo Palermo, in coproduzione con Atto Unico – Carnezzeria, in collaborazione con Sud Costa Occidentale. A Palermo, Teatro Biondo fino al 1 dicembre; a Modena, Teatro Storchi dal 5 all’8 dicembre.
Il Re Lear di Gabriele Lavia
L’eterna tragedia del potere, dove si consuma la conflittualità del rapporto tra padri e figlie e figli, in una vicenda di paternità ed eredità, irrompe sulla scena attraversata dal campionario di passioni, tradimenti e miserie dell’esistenza umana. Nel ruolo di Lear, re potente che rinuncia al suo “essere” e consegna il regno nelle mani delle figlie, per tornare ad “essere” soltanto un padre, lo stesso Gabriele Lavia, protagonista e regista dell’opera shakespeariana, dopo 40 anni dal debutto del 1972 che lo vide interprete del ruolo di Edgar nello spettacolo diretto da Giorgio Strehler.
Scritto all’inizio del Seicento, il testo si basa sulla leggenda di Lear, re della Britannia, prima che diventasse parte dell’Impero Romano, la cui storia era già stata narrata in cronache, poemi e sermoni, ma che Shakespeare ha saputo rendere immortale tramite una pluralità di personaggi di potente drammaticità, che la nuova regia di Lavia esalta e illumina attraverso un nutrito cast di 14 interpreti.
Lavia definisce Re Lear una storia di perdite: perdita della ragione, perdita del Regno, perdita della fraternità. «Non resta che vivere in una tempesta. Ma la tempesta di Lear è la tempesta della sua mente. La tempesta della mente dell’umanità, la morte dell’uomo che ha abbandonato il suo Essere. Ed ora vive il suo non-Essere nella Tempesta della mente, nella Tempesta che lo travolge. E tutti sono travolti. Tranne colui che più degli altri ha sofferto e può “essere-Re” della sofferenza come percorso di conoscenza», scrive Lavia nelle note di regia.
“Re Lear”, di William Shakespeare, traduzione Angelo Dallagiacoma e Luigi Lunari, regia di Gabriele Lavia, scene Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, luci Giuseppe Filipponio, musiche Antonio Di Pofi, suono Riccardo Benassi. Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Effimera srl, LAC Lugano Arte e Cultura. A Roma, Teatro Argentina, dal 26 novembre al 22 dicembre.
Il Sogno di una notte di mezza estate al Piccolo di Milano
Il regista Carmelo Rifici affida una commedia tra le più celebri di William Shakespeare alla compagnia di giovani attrici e attori che ha formato alla Scuola di Teatro del Piccolo per raccontare, ieri come oggi, l’ostinata rivalità tra il potere e l’irrazionale.
«Ho pensato al Sogno – spiega – per la ricchezza di ruoli che offre, per l’età anagrafica dei personaggi, vicina a quella degli interpreti, ma soprattutto per gli innumerevoli livelli di lettura che propone. Spesso presentato come una banale storia di magie, inseguimenti notturni e amori non corrisposti, il Sogno è invece, per me, un testo in cui Shakespeare ci racconta l’ossessione del potere di espellere il mostruoso, l’estraneo, il diverso, quel che lo terrorizza perché gli appare ingovernabile. In un tentativo di impossibile armonizzazione degli opposti, un maschile prevaricatore si contrappone a un femminile continuamente oggetto di violenza, l’ordine di Atene si specchia nel caos della foresta, mentre l’elemento pulsionale della sessualità viene “addomesticato” dai matrimoni.
La drammaturgia di Riccardo Favaro – che si è inserita tra le pieghe dell’originale, mettendone a fuoco i temi e sviluppando alcuni personaggi – mette in crisi una tradizione che tende a ripetersi senza cambiamenti, rendendo difficile la possibilità di una sua celebrazione».
“Sogno di una notte di mezza estate (commento continuo)”, di William Shakespeare / Riccardo Favaro, regia Carmelo Rifici, scene Paolo Di Benedetto, costumi Margherita Baldoni, luci Manuel Frenda, cura del movimento Alessio Maria Romano, musiche Federica Furlani. Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa. Al Teatro Studio Melato, dal 29 novembre al 22 dicembre.
Taverna Miresia, un rituale di purificazione
Prende il via il 28 novembre, alle Fonderie Limone di Moncalieri, Torinodanza Extra, percorso in quattro appuntamenti dedicato alla danza e al teatro performativo che si snoda in tutto l’arco della Stagione 24/25, rafforzando il dialogo tra la prosa e la danza e definendo sempre più il carattere multidisciplinare e contemporaneo della programmazione dello Stabile. Il primo spettacolo è Taverna Miresia – Mario, Bella, Anastasia, ideato e diretto dal giovane artista greco di origine albanese Mario Banushi (classe 1998), affermato talento del teatro europeo contemporaneo.
Egli usa i suoi ricordi come espediente drammaturgico e li trasforma in un rituale di purificazione. L’insegna al neon di un ristorante in un sobborgo di Tirana fa luce sulla storia di una famiglia. Un incidente inaspettato sotto la luce di questa insegna ha un effetto cruciale nella vita di Mario. Anni dopo, ormai adulto, il regista Banushi, che ha viaggiato per anni dalla Grecia all’Albania per incontrare i suoi familiari, ritornando nella taverna di famiglia, adesso porta quella stessa insegna da Tirana ad Atene, ponendola al centro del mondo che ricrea in scena. Attraverso la performance, lui accoglie i suoi ricordi e la nostalgia per affrontare l’assenza di suo padre, recentemente scomparso, il proprietario e cuoco della taverna (“miresia” in albanese significa gentilezza) che dava il benvenuto ai clienti ogni sera.
Nello svolgimento dello spettacolo (dal 28 novembre al 1 dicembre, produzione Athens Epidaurus Festival 2023 e presentato all’interno GRAPE – Greek Agora of Performance), l’insegna sprigiona una serie di emozioni, una melodia di sentimenti mai espressi, frammenti e ricordi, la poesia delle cose rimaste non dette.
Storia del nuotatore di Auschwitz
Debutto assoluto de Il Nuotatore di Auschwitz, scritto e diretto da Luca De Bei e interpretato da Raoul Bova, ispirato alla vera storia di Alfred Nakache e al libro Uno psicologo nei lager di Viktor E. Frankl (a Roma Teatro Parioli Costanzo dal 27 novembre all’8 dicembre, contributi video di Marco Renda e musiche originali Francesco Bova).
Alfred Nakache era un nuotatore francese di origine ebraica, detentore di un record mondiale. Ad Auschwitz era il detenuto numero 172763. Nonostante la prigionia e le inaudite privazioni, non ha mai smesso di allenarsi tuffandosi nell’acqua gelida di un bacino idrico. La sua forza, la sua incrollabile determinazione, gli hanno permesso di attraversare l’orrore del campo e di salvarsi. Tornato poi a gareggiare, ha ottenuto un nuovo record e ha partecipato alle olimpiadi di Londra. Ad Auschwitz è stato internato anche Viktor Frankl, uno psichiatra austriaco che, subito dopo la liberazione, ha scritto un libro sull’esperienza vissuta e su coloro che, proprio come Nakache, sono riusciti a superare quella prova terribile.
Lo spettacolo vuole restituire queste due figure straordinarie che comunicano a tutti noi un messaggio di speranza: vivere è certo anche sofferenza, ma cercare un senso a questa sofferenza guardando verso il futuro con uno scopo è il modo per affrontare le sfide più dure che la vita ci presenta. In questo modo è possibile arrivare, infine, a scoprire il senso stesso dell’esistenza.
Lacrima, un tessuto sparso tra due continenti
Dopo Fraternité, conte fantastique e Saigon – presentati al Teatro Strehler nel 2023 e nel 2024 – Caroline Guiela Nguyen, artista associata del Piccolo, sceglie il tessuto come trait d’union narrativo di una coralità sparsa tra due continenti. Parigi 2025. Una prestigiosa casa di moda riceve una commissione speciale: confezionare il vestito nuziale della principessa d’Inghilterra. Tra Francia e India. Nello spettacolo Lacrima (a Milano, Teatro Strehler, dal 28 al 30 novembre) Caroline Guiela Nguyen, autrice e regista, lega il percorso di creazione di un abito prezioso alle vite di sarte, merlettaie e ricamatori, esplorando le trame segrete e le dinamiche che sottendono l’universo dell’alta moda.
Londra, 2025. La Principessa d’Inghilterra ordina l’abito da sposa a una prestigiosa casa di haute couture parigina. Passo dopo passo, lo spettacolo si concentra su tutte “le mani” che daranno vita al prezioso oggetto. Per otto mesi, migliaia di ore complessive di lavoro, si segue il processo di creazione di un abito destinato a passare alla storia, mantenuto sotto rigide clausole di riservatezza come richiesto dal protocollo reale e dalle regole della sartoria di lusso. Da una casa d’alta moda parigina, a un laboratorio di ricamo di Mumbai, a un atelier di merletti di Alençon: tre universi legati dal lavoro, dal know-how e dal vincolo del silenzio, tre ambienti dove donne e uomini hanno i corpi spezzati dalla fatica, in cui la violenza emergerà, tra fili di lino e cotone. Senza mai sminuire l’abilità di questi artigiani e artigiane, lo spettacolo pone a ogni istante una domanda: nel silenzio del segreto, quale spazio intercorre tra ciò che ci distrugge e ciò che ci preserva?
Ramificazioni Festival in Calabria
Entra nel vivo l’VIII edizione di Ramificazioni Festival, festival dedicato alla danza d’autore in Calabria, ideato e prodotto dall’Associazione Italia & Co, fino al 15 dicembre, diffuso tra le province di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria. Il 30 novembre è in scena al Teatro Comunale di Catanzaro, Whispers of him di Garrett Smith. Il talentuoso coreografo statunitense racconta la fragilità della vita e quanto l’esistenza umana sia effimera. L’amore, gli amici, la spensieratezza, poi in un attimo, nel tempo di un battito d’ali tutto cambia, tutto è perduto. Un attimo soltanto e tutto può cambiare irrimediabilmente… per poi continuare, forse, in un’altra dimensione.
Whispers of him vede impegnato un ensemble di danzatori e danzatrici selezionati ad hoc dal coreografo statunitense tra le fila di Art Garage, crocevia di performer, danzatori e coreografi. Inoltre, la formazione accademica di Smith conferisce ai suoi lavori un alto livello performativo che, unitamente alla versatilità dello stile e degli interpreti, dà vita a una fluidità di linguaggi espressivi. Il neoclassico, il contemporaneo e la sua riconoscibile impronta danno luogo a uno spettacolo di forte impatto visivo ed emotivo.
A produrre Whispers of him è la coreografa Emma Cianchi direttrice artistica di Art Garage, nonché consulente artistica per il Teatro Bellini insieme a Manuela Barbato, che firma i testi dello spettacolo.
Il deserto dei tartari
Un bastione difensivo al confine di un deserto da cui non arriverà mai nulla: Il deserto dei tartari è il romanzo capolavoro di Dino Buzzati, che approda in teatro in una nuova interpretazione concepita dal regista Lelio Lecis per la compagnia Akròama di Cagliari e l’interpretazione di Simeone Latini. L’attesa inutile del sottotenente Giovanni Drogo, nell’inquietante e rarefatta atmosfera della fortezza di frontiera, diventa qui metafora nichilista del viaggio dell’uomo verso la solitudine e la morte.
Il deserto dei tartari, realizzato con i costumi Marco Nateri e lo spazio scenico di Valentina Enna, è presentato nell’ambito della stagione Cromosomi teatrali di Teatri di Vita di Bologna (dal 27 novembre al 1 dicembre). Lecis affronta il romanzo allestendo una versione tutta mediata dal protagonista. «Ho sempre pensato – scrive – che Il deserto dei tartari sia una folgorante metafora del viaggio dell’uomo verso la Solitudine e verso la Morte: un viaggio a una sola direzione, che non ammette ripensamenti né arretramenti (tornare a casa, per Giovanni, è – psicologicamente, prima che fisicamente – impossibile). E ho anche sempre ritenuto che quel deserto sia il vuoto, l’assenza, la negazione della Speranza: nessuna avventura, nessuna impresa, nessuna ora di gloria, nessun riscatto è possibile per Drogo, come per tutti noi». Una visione pessimistica, da cui tuttavia filtra probabilmente un filo di pietà a cui ciascuno può, se vuole, abbeverarsi.
A Parma, l’opera performativa Crine
CRINE, opera performativa, visuale e musicale di Lenz in coproduzione con ParmaFrontiere, interpretata da Carlotta Spaggiari con live music di Roberto Bonati, è in scena a Lenz Teatro dal 25 al 27 novembre in occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne e di genere.
Con Crine, Lenz sostanzia la ricerca pluriennale di un “verbo” pedagogico che rende le persone neurodivergenti in grado di esprimere attraverso le stimolazioni drammaturgico-sensoriali le emozioni silenziate, ribaltando la prospettiva convenzionale. Ermengarda, infatti, è incarnata dall’attrice sensibile Carlotta Spaggiari, protagonista e straordinaria interprete di numerose creazioni performative di Lenz.
In scena con lei il compositore, contrabbassista, direttore d’orchestra Bonati, creatore nel 1998 della ParmaFrontiere Orchestra e musicista che ha maturato negli anni un linguaggio capace di costruire intensi pannelli emotivi, approdando ad una sintesi di molteplici generi musicali contemporanei.
Company Blu e Chiara Ameglio a Fattoria Vittadini
Nell’ambito del programma di Storie e Memorie, progetto promosso da AIEP, il 30 novembre lo spazio Ariella Vidach-AiEP in Fabbrica del Vapore a Milano, ospita una serata all’insegna della danza contemporanea con l’improvvisazione a cura di Chiara Ameglio/Fattoria Vittadini sul progetto Lingua, in cui la performer mette a disposizione il proprio corpo come una tela bianca su cui il pubblico può decidere di lasciare una traccia scritta. Segue la coproduzione italo-canadese di Company Blu Instant Places che coniuga danza, musica, immagini video e virtuali per esplorare le proprietà e le dinamiche più semplici ma meno evidenti dell’acqua, elemento fondamentale degli ambienti in cui si svolge la nostra esistenza.
Ecco allora prendere vita davanti ai nostri occhi una molecola raffigurata come una punta di freccia – due atomi di idrogeno che fiancheggiano l’atomo di ossigeno -, mentre la danza dà corpo alle diverse configurazioni che le molecole possono assumere a seconda delle temperature cui vengono esposte. E così la sostanza per noi più familiare e indispensabile rivela i suoi meravigliosi segreti.
Un giorno come un altro in un seggio elettorale
Un seggio elettorale è a modo suo un luogo simbolo di una democrazia. Quel semplice gesto, ossia votare, per anni è stato considerato quasi sacro da molti italiani, ma con il passare degli anni c’è stato uno scollamento sempre maggiore tra Paese reale e classe dirigente. E questo fenomeno ha provocato un disinteresse dilagante da parte dei cittadini nei confronti di quel gesto sacro: a ogni tornata elettorale la prima vera notizia è la crescente astensione degli aventi diritto. È, secondo gli analisti, una malattia irreversibile.
In Un giorno come un altro, scritto e diretto da Giacomo Ciarrapico, e con Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri (a Roma, Spazio Diamante, dal 28 novembre al 1 dicembre), si racconta quel giorno in cui l’astensione raggiungerà livelli quasi assoluti e solo il quattro per cento della popolazione andrà a votare. Ma un seggio elettorale è anche un luogo dove alcuni cittadini, gli scrutatori, sono costretti a passare un’intera giornata uno accanto all’altro. Non sapendo nulla uno dell’altro e spesso avendo visioni diverse del mondo e quindi, non di rado, mal sopportandosi vicendevolmente. Ed è così che Ranuccio e Marco si ritroveranno fianco a fianco nella sezione 4607 (un seggio alle porte di Roma) ad aspettare gli elettori che non arriveranno mai. Uno spettacolo sospeso dove Godot sono gli italiani.
Intorno al mondo Pirandelliano
Va in scena in prima nazionale al teatro Cantiere Florida di Firenze il 26 novembre Dovrebbe essere così. Intorno al mondo Pirandelliano, un lavoro scritto, diretto ed interpretato da Michele Sinisi creato appositamente per Quartieri in cerca d’autore, il progetto della Compagnia teatrale Krypton con la direzione artistica di Fulvio Cauteruccio.
Scrive l’autore: «La creatività dell’uomo si basa sulla capacità di comunicazione del pensiero, questa capacità si basa interamente sulla presenza di un veicolo, la parola principalmente, che sia in grado di portare il messaggio nello spazio e nel tempo. Di Pirandello mi ha sempre affascinato la possibilità di compiere questo viaggio con la sensazione di essere chiamati esplicitamente ad esserne partecipi. Dovrebbe essere così inizia sulla certezza di un terreno caldo e accogliente di una trama, che all’inizio rassicura e poi gradualmente ci si sente minati da incidenti di percorso, da ribaltamenti dei punti di vista, esplosioni psichiche forse troppo complicate da spiegare col solo veicolo della parola. Ad un certo punto anche il corpo partecipa a questo percorso creativo. Il monologo è il racconto di un sogno notturno di cui ci si è dimenticati di prendere appunti al risveglio. Raccontarlo col corpo e le parole è l’unica possibilità».
La Première del Balletto di Roma
Perché danziamo? Questa domanda sorge prima di ogni nuova creazione e la risposta arriva, mai completa, nei momenti più inaspettati: frammenti brevissimi, sbirciate brevi dentro una sensazione indefinibile. Momenti in cui ci rendiamo conto che esiste un senso più grande di noi, che siamo parte infinitesimale di un disegno cosmico vastissimo. Première nasce dall’incontro del coreografo Andrea Costanzo Martini con i danzatori del Balletto di Roma e dalla fascinazione per questi artisti così giovani che inseguono il loro desiderio di movimento, sia come sentimento personale, che come bisogno comune.
Première (a Roma, Teatro Ateneo, il 26 e 27 novembre) celebra l’umanità, indaga le biografie, le storie uniche e irripetibili di ognuno, dal più delicato al più selvaggio e feroce. Quale allineamento di stelle e pianeti ha permesso loro di essere qui su questo palcoscenico, pronti e disposti a sacrificare qualcosa per noi spettatori? Première ci svela che una compagnia di danza in fondo è un villaggio, una tribù, con i suoi bisogni primari che tentano di essere soddisfatti dall’organizzazione in codici e regole. Tra luci e ombre, come sotto i riflettori.
I giorni felici di Marcido Marcidoris
Dopo più di tre lustri la compagnia torinese Marcido Marcidoris riprendono una delle rappresentazioni centrali del loro percorso artistico: Happy Days in Marcido’s field. di Marco Isidori da Samuel Beckett, (con Paolo Oricco – Winnie, Valentina Battistone, Ottavia Della Porta, Alessio Arbustini – Coro/Willie; scene di Daniela Dal Cin, a Napoli, Galleria Toledo, dal 29 novembre al 1 dicembre).
In uno spazio scenico che si presenta come baratro vivente la messinscena è tesa verso l’irraggiungibilità di quel Teatro Totale che da sempre è l’orizzonte degli sforzi della compagnia. La maturità consente un’operazione che trova in questa nuova edizione dello spettacolo, un suo preciso, puntuale, compimento scenico, permettendo di concludere una ricerca che vede nella coniugazione di suono e di senso un traguardo da cui il teatro d’arte non può prescindere.
BORGES – Ipotesi foto-grafica sulle geografie del corpo
Dal pluripremiato cortometraggio docu-sperimentale Borges, è nato un nuovo “viaggio” BORGES – Ipotesi foto-grafica sulle geografie del corpo (a Bari, Casa delle Culture, dal 30 novembre al 28 dicembre), una nuova visione delle geografie del corpo e dei camminamenti per popoli migranti, ossia la mostra fotografica dei paesaggi che verdeggiano attorno a quei camminamenti (concept di Andrea Cramarossa, foto di Gennaro Gargiulo).
I paesaggi sono forme di ritratti tagliati a metà, pezzi o sezioni di volto, di petto, di braccia. Sono il passaggio fugace dello sguardo del passante sull’umano che ci sfiora, spesso senza lasciare alcuna traccia, alcuna sensazione. Apparentemente. Qualcosa sempre resta degli sguardi, dei passaggi che ognuno di noi compie gettato nella propria e nell’altrui esistenza. Da questo meticciato di tempo e di spazio, di corpi e di non-corpi, l’immagine umana è un segno profondo di una comunità in cerca delle proprie radici, di-segna nuove mappe geografiche tra corpi e moltitudini di probabili orientamenti astronomici, proiezioni astrali su nuove cartine geografiche, ombre meridiane che inferiscono nell’anima del viaggiatore tratti di speranzosa vitalità, nell’immaginaria cosmogonia delle possibilità.
Tra ciò che si è stati e ciò che si è, prima e dopo il viaggio compiuto, in attesa del successivo, ogni essere umano non può che dirsi viaggiatore, migrante, nomade nella caducità della vita e, proprio per questo, ci si colloca nella profonda prospettiva della rinascita. Le foto divengono, così, anche la testimonianza di un “rito di passaggio”, il racconto ultimo dell’ultimo attraversamento tra cielo e terra.
Cenci, tragedia in versi
La Piccola Compagnia della Magnolia porta in scena per Sardegna Teatro (al Teatro Eliseo di Nuoro il 29 e 30 novembre), Cenci, una tragedia in versi di Percy Bysshe Shelley, scritta durante una permanenza in Italia nell’estate del 1819. L’opera, con la scrittura drammaturgica a cura di Giorgia Cerruti, ambientata nella Roma del 1599, drammatizza un manoscritto trovato dall’autore negli archivi del Palazzo Cenci di Roma. In esso sono riportati i terribili avvenimenti che arrivarono a estinguere una delle famiglie più nobili della città durante il pontificato di papa Clemente VIII.
Nel 1935 Antonin Artaud riprende la vicenda e ne estrae un feroce dramma, un manifesto del suo “teatro della crudeltà”. La storia racconta di Beatrice Cenci, eroina moderna capace di coraggio e determinazione, che subisce per tutta la sua breve vita gli abusi e le violenze di un padre tirannico e immorale. Per ottenere la libertà dal padre aguzzino lo fa uccidere, ma lei e i complici vengono scoperti e giustiziati pubblicamente, benché il popolo romano fosse apertamente dalla sua parte. Vittima prima dei soprusi, poi della giustizia.