26 agosto 2021

Ubu Re, e patafisica: intervista a Fabio Cherstich e Luigi Serafini

di

“Ubu Re” al Teatro Argentina: la celebre pièce di Alfred Jarry ripensata da Fabio Cherstich e Luigi Serafini, che ce la raccontano in un’intervista

Fabio Cherstich e Luigi Serafini. Foto di Claudia Pajewski.

Il regista Fabio Cherstich e l’artista, designer e architetto Luigi Serafini hanno portato in scena al Teatro Argentina un caposaldo del teatro contemporaneo: “Ubu Re”. La platea invasa di sabbia (reduce da “Sun&Sea“) si è trasformata in un arenile suburbano per dar luogo a una nuova versione dell’opera della fine dell’Ottocento. Cherstich e Serafini hanno fatto tesoro della lezione di Alfred Jarry restituendoci una rielaborazione sagace di “Ubu Re”, testo sempre attuale e tanto surreale quanto realistico. Allo stesso tempo, hanno ridato vigore all’opera di Jarry, padre della patafisica.

Cherstich e Serafini: una nuova traduzione dell’”Ubu Re”

In “Ubu Re” il lavoro registico di Fabio Cherstich si è intrecciato a quello visionario di Luigi Serafini, che ha curato la parte visiva e drammaturgica. Così, a partire da una nuova traduzione del testo originale – da loro realizzata – i due hanno dato spazio per la prima volta ad alcune interpretazioni e giochi linguistici. Per esempio, nell’opera di Cherstich e Serafini emerge la componente linguistica del napoletano che si fa specchio della matrice francese, complici alcuni interpreti dei vari personaggi.

“Ubu Re”: l’immaginazione si fa immagine

«Alfred Jarry fu intellettuale ribelle e raffinato provocatore, ciclista instancabile, consumatore di assenzio e fece dell’immaginazione l’unico strumento di sopravvivenza nella cosiddetta realtà». Jarry diventa personaggio al Teatro Argentina nella versione dell’”Ubu Re” di Fabio Cherstich e Luigi Serafini che hanno portato quest’opera, sempre attuale, alla più stretta contemporaneità. Se la patafisica di Jarry è la scienza delle soluzioni immaginarie, nell’opera di Cherstich e Serafini l’immaginazione si fa immagine. Questo accade letteralmente coi disegni preparatori di Luigi Serafini.

Poi, la rappresentazione al Teatro Argentina è stata ricca di suggestioni scenografiche che si consolidavano in stilizzazioni visive, emblemi della ricca prospettiva di Serafini sull’opera di Jarry. Gli attori di “Ubu Re” hanno personificato i lati più abietti dell’essere umano: Massimo Andrei nel personaggio di Padre Ubu ne è stato interprete per eccellenza, affiancato da Gea Martire nelle vesti di Madre Ubu. Con questa collaborazione unica, Fabio Cherstich e Luigi Serafini hanno risolto l’’”Ubu Re” di Jarry in una versione ricca di nuovi stimoli, divertente e dadaista, minimale e surrealista. Ce ne hanno parlato un po’ rispondendo per noi ad alcune domande.

Come nasce la vostra collaborazione e perché la selezione di questo testo
fondamentale del teatro “Ubu Re” di Alfred Jarry?

FC: Luigi ed io ci consociamo da tempo, frequento entrambi i suoi studi, a
Roma e a Milano, seguo il suo lavoro ed oltre ad essere un fan del Codex, mi
interessa molto anche l’aspetto della sua opera legata al design e
all’architettura. Da diversi anni progettavamo un divertissement
teatral/musicale: Il Flauto Magico di Mozart, ambientato negli spazi di Villa
Borghese a Roma. Quando Giorgio Barberio Corsetti mi ha proposto di
lavorare sulla sabbia dell’Argentina, ho pensato subito a Ubu Re e un
secondo dopo ho chiamato Serafini, il più patafisico degli artisti italiani per
dirgli: facciamo questa follia insieme. Ed eccoci qua…

Alla fine dell’Ottocento, Alfred Jarry introduceva un nuovo modo di pensare il
teatro spalancando le porte al moderno, poco prima delle avanguardie.
Leggiamo di lui nelle note di regia: «Definito proto-dadaista dai dadaisti,
proto-futurista dai futuristi, proto-surrealista dai surrealisti, proto-assurdista
dagli assurdi e proto-postmodernista dai postmoderni». Quali suggerimenti vi
ha dato, nella regia e nella scenografia, questo approccio di Jarry? 

FC: Jarry nelle sue note per la messa in scena suggerisce l’uso dei cartelli
per raccontare i molteplici spazi presenti nel testo. Inoltre, raccomanda che le
scene di massa siano recitate da un solo performer e impone che la scena
rappresenti “tanti luoghi tutti insieme, quindi un non luogo”, prevedendo
l’utilizzo delle maschere e dando molte indicazioni sui costumi, non riferibili a
un’epoca precisa. Queste indicazioni, che sembrano uscite da un trattato
teatrale di Brecht, sono invece del 1896!
Ovviamente le abbiamo interpretate e portate in scena a modo nostro.

Nella recitazione, in particolare nelle movenze si notava a volte la ripresa
della figura animalesca del gallo e nei costumi (Re Venceslao) quella
dell’uovo. Immagini che trovano spazio anche nel libro di Luigi Serafini
“Codex Seraphinianus”. Perché questo inserimento in “Ubu Re”?

FC: Perché il re è un vero pollo nella storia che racconta Jarry: si fa soffiare il
trono da un uomo qualsiasi (Padre Ubu) e muore veramente in maniera
idiota. Con Serafini ci siamo divertiti a farlo diventare letteralmente tale in
scena, un pollo appunto, almeno vocalmente e Marco Cavalcoli, che lo
interpreta magistralmente, si è prestato a questo gioco. Insomma, ci siamo
divertiti come pazzi…

“Ubu Re” nasce come un’opera di satira, provocatoria nei confronti del teatro
borghese, anticonvenzionale e aperta alla sperimentazione linguistica. In
relazione a quest’ultimo punto, nel vostro lavoro prevale la componente
napoletana. Ciò è evidente nelle interpretazioni di Gea Martire (Madre
Ubu), di Francesco Russo (Capitano Bordure) e Massimo Andrei (Padre
Ubu) che incarna lo spirito napoletano anche indossando la maschera di
Pulcinella. Cosa ci dite di questa scelta? 

FC: È stata una scoperta fatta mentre con Luigi e Tommaso Capodanno
stavamo studiando e ritraducendo il testo dal francese.
A un certo punto mamma Ubu chiama Padre Ubu “Poulichenelle”: da lì
l’illuminazione di Luigi che su Pulcinella ha fatto diversi meravigliosi lavori.

LS: La cosa singolare è che in tutte le traduzioni italiane, nessuno aveva mai
tradotto “Poulichenelle” con Pulcinella, facendo ricorso invece a sinonimi come
pagliaccio, buffone ecc. Inoltre, Jarry nomina il castello di Mondragone e la
Venere di Capua. Quindi, in questo testo fondamentale della modernità, gli
unici riferimenti al di fuori dello scenario polacco-lituano-russo, sono quelli
riguardanti l’Italia, o meglio l’area campana. Jarry era coltissimo e sapeva
quanto la Commedia dell’Arte avesse influito sull’evoluzione del teatro
francese, a partire da Molière. Cosa che evidentemente non sapevano o non
avevano capito i nostri prodi traduttori…a meno che, essi traduttori, non
avessero sottovalutato Pulcinella per propri complessi culturali…e sarebbe
cosa ancor più grave… (risata)

Alfred Jarry è stato il creatore della patafisica, ovvero la «scienza delle
soluzioni immaginarie» che ha poi ispirato e influenzato diversi filosofi,
scrittori, pittori, cineasti e non solo. Qual è il vostro legame con la patafisica? 

FC: il mio è Luigi Serafini: una grande fortuna! E un amico arrivato dal
passato che ha segnato gli ultimi mesi della mia vita: Alfred Jarry.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui