23 aprile 2025

La partecipazione di Israele alla prossima Biennale d’Arte di Venezia è in bilico

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Dopo il Padiglione chiuso della scorsa edizione, difficoltà economiche, tubolenze politiche e movimenti di dissenso potrebbero mettere in dubbio la partecipazione di Israele anche alla Biennale d’Arte di Venezia 2026

La partecipazione di Israele alla Biennale d’Arte di Venezia del 2026 è in bilico. A segnalarlo è un recente articolo pubblicato sul quotidiano Haaretz, che documenta le difficoltà strutturali e politiche che stanno ostacolando il rinnovo del padiglione nazionale. Già nel 2024, il Padiglione rimase chiuso per volontà dell’artista Ruth Patir, che aveva deciso di non aprire la mostra finché non fosse stato raggiunto un cessate il fuoco a Gaza e un accordo per la liberazione degli ostaggi, traguardi ancora lontani, mentre la guerra continua a fare strage: a oggi, le vittime palestinesi stimate sono tra le 50mila e le 62mila, oltre la metà delle quali bambini e minorenni. Israele non parteciperà neanche alla Biennale di Architettura del 2025, che aprirà al pubblico il 10 maggio.

Costruito nel 1952, il Padiglione d’Israele ai Giardini della Biennale è co-gestito dal Ministero della Cultura e dal Ministero degli Esteri israeliani. Entrambi gli enti si trovano ora a fronteggiare ritardi e problematiche burocratiche legate alla ristrutturazione dello spazio. Se da un lato il Ministero degli Esteri ha ammesso la presenza di difficoltà di bilancio – successivamente risolte – dall’altro il Ministero della Cultura lamenta l’assenza di un piano operativo approvato per avviare concretamente i lavori. Un’impasse che, secondo quanto riportato da Haaretz, potrebbe compromettere del tutto la partecipazione del Paese anche all’edizione del 2026 della Biennale d’Arte, che sarà curata dalla camerunense-svizzera Koyo Kouoh.

Il contesto, tuttavia, va ben oltre la logistica. La decisione di Ruth Patir nel 2024, sostenuta dalle curatrici Mira Lapidot e Tamar Margalit, ha avuto un’ampia risonanza internazionale, innescando reazioni contrastanti nel mondo dell’arte e della politica. L’atmosfera che si respirava attorno a quel silenzio era carica di tensione e inquietudine ma anche di significati. I militari a presidiare costantemente la struttura, le porte trasparenti chiuse, il manifesto affisso sulla vetrata: «L’artista e le curatrici del padiglione israeliano inaugureranno la mostra quando verrà raggiunto un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi». La scelta dell’artista di non presentare al pubblico il progetto – che successivamente è stato esposto al Tel Aviv Museum of Art – riscosse il sostegno di artisti e intellettuali, alcuni dei quali coinvolti nella mostra internazionale curata da Adriano Pedrosa. D’altra parte, una lettera firmata da oltre 8mila artisti definiva il padiglione «Genocida». È insomma evidente quanto la partecipazione israeliana sia diventata terreno di scontro su più fronti.

Non è la prima volta che la geopolitica ridisegna la mappa della Biennale: la Russia, ad esempio, ha sospeso la propria partecipazione dal 2022, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Più recentemente ha fatto discutere la scelta dell’Australia di revocare l’incarico all’artista Khaled Sabsabi per il suo supporto alla causa palestinese. E in questo scenario in continuo mutamento, la posizione di Israele si fa sempre più incerta. Se a oggi non è ancora stata resa nota la dead line ufficiale per la conferma dei padiglioni nazionali, molti tra i Paesi più influenti, tra cui Regno Unito e Francia, anno già annunciato i propri progetti, affidati rispettivamente a Lubaina Himid e Yto Barrada. Il bando per il progetto del Padiglione Italia si è invece chiuso pochi giorni fa, il 15 aprile, e nelle prossime settimane saranno comunicati i finalisti.

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