16 dicembre 2015

Che c’entra un cane con il mercato dell’arte?

 

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E se vi dicessimo che il mercato dei mastini tibetani potrebbe essere il termometro per capire l’andamento dell’economia e del mercato dell’arte in Cina? Questi enormi cani da pastore, a partire dal tardo 2000, sono stati uno status symbol per i multimilionari cinesi. Fino a tre anni fa, uno di questi cani sul mercato veniva venduto per 20mila dollari, ora vende ad un decimo di quella cifra, alcuni, addirittura, sono stati salvati prima che venissero venduti ad un macello a 5 dollari, per la loro pelliccia e la loro carne.
La Cina è il più grande mercato al mondo di beni di lusso e il rallentamento della crescita dell’economia del Paese è un male per fornitori di beni come profumi, mazze da golf, arte e antiquariato. Esemplare è stata l’asta annuale di Arte Contemporanea e del ventesimo secolo che si è svolta lo scorso novembre nella sede di Christie’s Hong Kong e che ha guadagnato solo 508 milioni di dollari di Hong Kong (66 milioni di dollari), in calo rispetto ai 935 milioni di dollari di Hong Kong incassati nel 2013.
Se i cani venivano acquistati per fare la guardia, gli altri beni di lusso erano legati ad una tradizione legata alle operazioni finanziarie in Cina: ogni accordo doveva essere accompagnato da un dono. E a questa fonte si abbeveravano il mercato del lusso e dell’arte, ma anche i mercati più tradizionalmente cinesi, come quelli del tè e della giada. A seguito della campagna contro la corruzione di Xi Jinping, il presidente cinese, la pratica diffusa e politicamente sospetta di elargire doni ai funzionari ha subito una grande frenata. Ma anche la crisi in cui il Paese si trova ha messo fine ai grandi acquisti sconsiderati di un tempo. Con conseguenze negative per cani e mercanti d’arte. (Roberta Pucci)

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