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Mercato dell’arte 2025: storia e cronistoria dell’anno che sta per finire
Mercato
C’è stato un tempo, ed era il 2023, in cui «mercato» rimava senza scampo con «contrazione». Dopo la foga famelica della Paul Allen Collection da $ 1,5 miliardi in una notte soltanto, la Marilyn di Warhol da $ 195 milioni, tutta una sfilza di vendite a sei zeri tra aste e fiere – era l’annus mirabilis 2022 – il sistema dell’arte rallentava (-4% di vendite nel 2023), finiva l’epoca dei picchi («normalizzazione», il leitmotiv del 2024) in balia di guerre, conflitti economici e tensioni internazionali. Eppure. Eppure parlano di ripresa, sul finire del 2025, i grandi numeri in giro per il globo. Specialmente nella fascia medio-bassa del mercato, per le transazioni sotto i $ 50.000 – lo rivelava già a metà anno l’economista Clare Mc Andrew sulle pagine dell’Art Basel and UBS Global Art Market Report, con 57,5 miliardi di vendite, -12% anno su anno nel valore degli scambi, ma un aumento del 3% sui volumi. E con tanto di performance sensazionali, da Parigi a Londra a New York: vedi quel ritratto-capolavoro di Klimt appartenuto a Leonard A. Lauder, presidente emerito di Estée Lauder, Christie’s lo ha venduto a novembre per $ 236,4 milioni – leggi: un nuovo world record per il pittore austriaco, il traguardo per un lavoro di epoca moderna e il secondo prezzo in assoluto per un’opera mai passata all’incanto (prima si trova solo l’imprendibile Salvator Mundi di Leonardo, e chissà dove). «Incarna l’estetica del Secolo d’Oro viennese», dichiarava già alla vigilia dell’incanto Helena Newman, Chairman of Impressionist & Modern Art Worldwide, Sotheby’s, «in cui giovinezza, bellezza, colore e ornamento si fondono in uno straordinario ritratto modernista». Detto, fatto, nuovo record mondiale fissato – ovviamente tutelato da «guaranteed property», ovviamente condito di «irrevocable bids». Ed è in buona compagnia.

Sono fuochi d’artificio per il design, nell’anno della guarigione 2025: il 10 dicembre, da Sotheby’s New York, nella nuova sede del Breuer Building su Madison Avenue, l’Hippopotame Bar di François-Xavier Lalanne segnava un nuovo traguardo di categoria ($ 31,4 milioni, a fronte di una stima parca di $ 10 milioni, e in coda a una sorta di Lalanne mania), mentre una lampada Magnolia di Tiffany Studios polverizzava ogni pronostico, dritta e diretta a quota $ 4,4 milioni. «Siamo in un mercato guidato dai capolavori», ha affermato Jodi Pollack, Sotheby’s Chairman and Co-Worldwide Head of 20th Century Design. Poi un’altra aggiudicazione da record, ancora a dicembre, stavolta in casa Christie’s, a sigillare il 2025: il Winter Egg di Fabergé, passato a Londra per £ 22,9 milioni. O i grandi nomi o non si azzarda, lasciano intendere i collezionisti internazionali – e le case d’asta in tutta risposta, sotto il segno compassato della lungimiranza, della prudenza (che premia, alla fine della fiera).

Avanza il lusso, il settore delle borse dà da parlare: scintille sotto il martello per la Birkin originale, quella creata per l’attrice e cantante Jane Birkin, la prima della fortunatissima serie di casa Hermés. Da Sotheby’s Paris, a luglio, passava per € 8,6 milioni (circa $ 10 milioni), un record assoluto per qualsiasi borsa all’asta – ed emblema esatto di quella artification che dall’arte si irradia a vintage luxuries e collectibles, senza distinzioni e limiti tra categorie. «Questa vendita storica», rivelano da Sotheby’s, «ha segnato la prima volta in quasi 25 anni che la Birkin originale di Jane Birkin è stata disponibile per l’acquisto, consolidando il suo ruolo di una delle borse più iconiche mai create e, ora, una delle più preziose mai vendute». Seguita a ruota da un’altra Birkin, la Voyageur Bag, indossata dalla divina Jane tra il 2003 e il 2007, che da Sotheby’s Abu Dhabi schizzava a $ 2,9 milioni nel pieno della Abu Dhabi Collectors’ Week. Una settimana da $ 133 milioni di vendite nel cuore del Golfo, per rendere l’idea.

E proprio quest’appuntamento organizzato a puntino da Sotheby’s – «the first ever luxury auction series to be held in the Middle East»! – apre il varco a un altro macro trend internazionale: lo spostamento degli affari dell’arte in Medio Oriente, strategicamente sparpagliati tra Emirati, Arabia Saudita e Qatar. Così, a maggio, il colosso MCH Group annunciava l’apertura di un nuovissimo avamposto a Doha, si terrà dal 5 al 7 febbraio la prima edizione di Art Basel Qatar, con 84 artisti, 87 gallerie e la direzione artistica di Wael Shawky. «Ogni presentazione porterà con sé una pratica profondamente radicata nel tessuto culturale del Golfo e delle sue estese aree geografiche, stimolando al contempo il dialogo in modi audaci e inaspettati», anticipa Shawky. «Insieme, stimolano Msheireb con nuove prospettive e nuovi incontri che rimodellano il modo in cui il pubblico interagisce con il luogo». Bene in linea con il progetto muscolare promosso dall’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, Vision 2030, che punta a trasformare l’emirato in una knowledge-based economy, mentre Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al Thani, presidentessa di Qatar Museums, dà linfa nuova alla cultura del Paese con l’apertura di giganti come il National Museum of Qatar e il 3-2-1 Olympic and Sports Museum. Non restano a guardare le case d’aste – le majors, s’intende – con Sotheby’s che a febbraio lanciava la prima vendita (rigorosamente cross-selling, da super bag ad artisti locali) a Diriyah e Christie’s che rispondeva subito per le rime con la prima sede permanente di una casa d’aste internazionale nel Regno, a Riyadh, sotto la guida di Nour Kelani. Tutt’intorno è fermento, è visione, un parco giochi in divenire, ovunque nel Golfo fioccano musei (nel 2025 lo Zayed National Museum progettato da Norman Foster, ma è il Guggenheim Abu Dhabi di Frank Gehry il grande atteso del 2026), super fiere (anche Frieze Abu Dhabi, oltre Art Basel Qatar), biennali (la Islamic Arts Biennale di Jeddah nel 2025, la Diriyah Contemporary Art Biennale nel 2026), perfino un enorme centro di logistica per l’arte nella zona franca di Doha (lanciato da QC+ e GWC logistics). Il sistema dell’arte tutto, concatenato per tautologica definizione.

Intanto, nel mondo, gli equilibri si rafforzano, le maratone di fiere e di art week si intensificano – collassano? – da gennaio a dicembre, da Parigi a Hong Kong a Seoul; e a Milano, con l’approdo del gigante Thaddaeus Ropac a Palazzo Belgioioso, di Mazzoleni che fa tripletta dopo Londra e Torino, con l’annuncio dell’imminente Paris Internationale (proprio nell’anno di grazia in cui l’IVA sulla vendita di opere d’arte è scesa dal 22% al 5%, scalzando in un colpo solo Francia e Germania). Mentre si chiudono le porte di giganti storici come Clearing e Blum. Così si ripete vivo, serrato, in balìa dei tempi (e dei collezionisti, sempre più Millennials e Gen Z, sempre più orientati al luxury, al contemporaneo, al design) il calendario dell’art market internazionale: Art SG a Singapore a gennaio, e a ruota gli Old Masters a New York, le aste di moderna e contemporanea a Londra a marzo, le meraviglie di Tefaf Maastricht, maggio a New York, giugno a Basilea, gli ultimi scampoli di vecchi maestri a luglio – un elenco imparato a memoria. Settembre riparte da Frieze Seoul, poi una via l’altra Frieze London, Art Basel Paris, le aste di New York. Queste ultime bene infarcite di record e traguardi nelle varie categorie – di lì a poco l’happy ending, Sotheby’s ruba la scena con una previsione di fatturato di $ 7 miliardi (+17% rispetto al 2024), Christie’s di $ 6,2 miliardi (+ 6%). E dai booth di Art Basel Miami, a dicembre 2025, sotto l’egida dei cani-robot di Beeple, finalmente il verdetto: torna a respirare, e si riprende, il mercato dell’arte internazionale.














