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Un anno di arte e cultura: le notizie che hanno segnato il 2025
Attualità
di Zaira Carrer e Paola Pulvirenti
Nel 2025, l’arte e la cultura hanno continuato a muoversi lungo una linea sempre più esposta alle tensioni della politica, dell’economia e dei conflitti internazionali. È stato un anno in cui le istituzioni hanno mostrato con chiarezza i propri limiti strutturali, tra ritardi decisionali, pressioni ideologiche e tentativi di ridefinizione del proprio ruolo pubblico. Allo stesso tempo, il mondo dell’arte ha scelto sempre più spesso di prendere posizione, accettando il rischio di esporsi in contesti polarizzati e instabili. Tra riforme attese e fragilità strutturali, conflitti che hanno coinvolto il patrimonio e mobilitazioni che hanno portato l’arte fuori dai suoi spazi consueti, il 2025 ha evidenziato come la cultura non possa offrire risposte definitive, ma funga da vero e proprio campo di tensione, rivelando contraddizioni e possibilità, e confermando il proprio ruolo di spazio critico dentro un presente instabile. Tiriamo quindi le somme di questo anno, srotolandolo, riattraversandolo e ripercorrendo insieme dieci notizie che ci hanno accompagnato nel corso di questi dodici mesi.
Un anno di lutti istituzionali: la scomparsa di Luca Beatrice e Koyo Kouoh
Il 2025 sarà ricordato come un anno segnato da perdite profonde per il sistema dell’arte contemporanea, colpito dalla scomparsa di due figure chiave della scena curatoriale: da un lato, Luca Beatrice, Presidente della Quadriennale d’Arte di Roma; dall’altro, Koyo Kouoh, nominata curatrice della Biennale Arte di Venezia 2026.
Nel caso della Biennale di Venezia, la morte improvvisa di Kouoh – prima donna africana chiamata a dirigere l’Esposizione Internazionale d’Arte – ha scosso profondamente la comunità artistica internazionale. La Biennale ha annunciato la decisione di realizzare comunque il progetto curatoriale da lei concepito, intitolato In Minor Keys, affidandone lo sviluppo a un team di collaboratori selezionati dalla curatrice stessa. Una scelta che trasformerà l’edizione 2026 in una sorta di eredità critica e intellettuale. Tra i padiglioni nazionali più attesi c’è anche quello italiano, affidato alla curatrice Cecilia Canziani e all’artista Chiara Camoni, con un progetto che esplora i confini della scultura come pratica condivisa, ponendo al centro la relazione tra materia, gesto e comunità.
Parallelamente, anche la Quadriennale d’Arte di Roma ha portato avanti il progetto avviato dal presidente Luca Beatrice, che aveva affidato allo studio torinese BRH+ il compito – non semplice – di legare insieme, al piano terra del Palazzo delle Esposizioni, il lavoro di cinque diversi curatori. Il risultato è stato Fantastica, che ha riunito 60 artisti e artiste della scena italiana post Duemila.

Stati Uniti: tra fine dell’inclusione, shutdown e controllo politico
Anche e soprattutto nel 2025, gli Stati Uniti hanno rappresentato un osservatorio privilegiato delle tensioni tra cultura e potere. Il governo di Donald Trump ha dato un’impronta alla cultura che fedelmente ha rispecchiato quello della sua linea politica. Nei musei statunitensi, infatti, si è assistito a un progressivo ridimensionamento delle politiche di diversità e inclusione, in un clima sempre più polarizzato. A questo si sono sommati episodi emblematici: la chiusura della National Gallery of Art di Washington a causa dello shutdown federale, il “licenziamento” via social di Kim Sajet, la direttrice della National Portrait Gallery, e l’intensificarsi della supervisione politica sulle istituzioni dello Smithsonian.
In questo scenario, New York ha continuato a funzionare come laboratorio anticipatore, con la figura di Mamdani che prova a utilizzare l’arte come strumento di apertura e ascolto piuttosto che renderla un passivo veicolo propagandistico. Il quadro che emerge negli States è comunque quello di musei sempre meno protetti, esposti a decisioni amministrative e pressioni ideologiche che ne limitano l’autonomia e ne ridefiniscono il ruolo pubblico.

Il Vaticano tra arte, giubileo e nuove geografie culturali
Il 2025 è stato per Chiesa cattolica un anno decisivo, segnato non solo dalla ricorrenza giubilare, ma dall’elezione di Robert Francis Prevost a nuovo Pontefice con il nome di Leone XIV: una svolta istituzionale e simbolica di grande portata per il Vaticano e non solo. Tra le iniziative di maggiore richiamo durante quest’anno di Giubileo, sicuramente le esposizioni dedicate a maestri del Rinascimento e del Barocco come Bellini, Sodoma, Mantegna e Bernini, e ancora la grande mostra su Paolo VI e Jacques Maritain, che ha intrecciato percorsi biografici e orizzonti filosofici. Proprio questa su Maritain è stata una delle ultime esposizioni a cura di Micol Forti, per anni a capo del Reparto di Arte dell’Ottocento e Contemporanea dei Musei Vaticani, nominata a settembre direttrice del MART di Trento e Rovereto. A suggellare questo anno per il Vaticano dal punto di vista artistico è infine, indubbiamente, il restaurato splendore della Sala di Costantino nei Musei Vaticani, ripensata e restituita al pubblico con un intervento di grande rilievo tecnico e simbolico.

Il sistema culturale in Qatar e nel Golfo: Art Basel e non solo
Anche nel 2025 continua la crescita del sistema culturale nei paesi del Golfo, che sempre di più si consolida sulla scena internazionale come un attore dinamico e in crescita. Il focus sull’arte si riflette negli ingenti investimenti che questi Paesi stanno riservando nella costruzione di nuovi musei e nello sviluppo di nuovi progetti.
Un esempio cardine è senza dubbio quello del Qatar: se la rete Qatar Museums ha appena festeggiato 20 anni, nuovi maxi-musei si preparano ad aprire, come parte di un piano strategico ventennale guidato dalla Sheikha Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al-Thani, capo di Stato delegata alla Cultura. Questa strategia si compone anche di progetti sul suolo di altri Paesi: parla da sé il fatto che il Qatar sarà presto il primo Paese ad avere un padiglione permanente dei Giardini della Biennale di Venezia dal 1995.
Sempre a Doha, è stato inoltre annunciato l’imminente lancio di Art Basel Qatar (2026), che posiziona il paese come nuovo nodo per il mercato internazionale dell’arte e che sarà guidata dall’artista egiziano Wael Shawky.
Parallelamente, Frieze ha confermato il suo ingresso ad Abu Dhabi, assumendo la gestione della storica fiera locale e rinominandola Frieze Abu Dhabi per l’edizione 2026, parte di una competizione in crescita tra emirati e centri culturali regionali.
Queste iniziative, insieme al ruolo crescente di case d’asta come Sotheby’s, indicano come il Golfo stia ridefinendo la geografia dell’arte contemporanea, consolidando economie culturali diversificate oltre la dimensione petrolifera tradizionale.

IVA al 5%: una riforma attesa, tra entusiasmo e disillusione
Sul fronte del mercato, il 2025 ha segnato una svolta storica con l’approvazione dell’IVA al 5% sulle opere d’arte, una misura invocata a lungo dagli operatori del settore. Le reazioni delle gallerie italiane, raccolte a caldo, hanno restituito un sentimento misto di soddisfazione e cautela: da un lato il riconoscimento di un passo avanti concreto, dall’altro la consapevolezza che una riduzione fiscale, da sola, non basta a riequilibrare un sistema fragile. Il dibattito è riemerso con forza anche in occasione di Arte Fiera 2025, dove il mancato sostegno governativo ha provocato proteste e malumori da parte dei galleristi.

Nomine, superdirettori e attriti istituzionali: il nodo irrisolto della governance culturale
Nel 2025 il sistema museale italiano è tornato a misurarsi con una delle sue questioni più strutturali: la governance. L’annuncio dei nuovi direttori dei musei di prima fascia è arrivato finalmente dopo mesi di stallo, ma in forma ridotta, quasi asettica, senza dichiarazioni pubbliche né narrazione politica a sostegno delle scelte. Un gesto che, invece di chiudere il capitolo, ha finito per rilanciare le tensioni. Il dibattito sulla procedura è stato poi alimentato dalle critiche esplicite di Alessandro Giuli, che ha messo in discussione l’impianto stesso delle nomine, arrivando a parlare di censura e di condizionamenti. Lo sblocco della macchina amministrativa, con le successive nomine dirigenziali di seconda fascia, ha quindi restituito un quadro ambivalente: più che un nuovo inizio, è stato evidenziato un equilibrio fragile e mai davvero risolto tra politica e istituzioni culturali.

Gaza: l’arte come presa di parola e campo di tensione
Il 2025 è stato anche l’anno in cui il mondo della cultura ha preso posizione in modo sempre più esplicito sul conflitto a Gaza. Centinaia di lavoratrici e lavoratori della cultura hanno firmato appelli e aderito a scioperi, mentre artisti e fotografi hanno trasformato l’urgenza politica in immagini, progetti e azioni. Le bandiere palestinesi sono apparse in tutte le piazze, come simbolo di resistenza, di opposizione, di rivendicazione a urlare quando necessario. E si è urlato, ma ci si è anche serviti del silenzio come forma di protesta: il 22 settembre, uno sciopero generale ha attraversato tutta la Nazione, e anche exibart si è simbolicamente unito alle piazze scegliendo di scioperare e spostando simbolicamente la propria voce, per quel giorno, nelle strade.
Un mese dopo, proprio mentre la Global Sumud Flotilla veniva intercettata dalle navi militari israeliane, centinaia di dipendenti di musei e siti culturali pubblici italiani decidevano di schierarsi pubblicamente e in modo netto per esprimere solidarietà nei confronti della popolazione palestinese, con un atto inedito per gli operatori del settore culturale. Dalla marcia di pace per Gaza ideata da Jasper Golding nel metaverso ai riconoscimenti internazionali assegnati a fotografi che stanno documentando le conseguenze del conflitto, fino alle aste solidali, alle mostre collettive: il fronte culturale si è mostrato attivo e frammentato. Non sono mancati episodi di censura, come nel caso dell’opera di Banksy sulla facciata del Royal Courts of Justice di Londra, né segnali drammatici, come la distruzione di un deposito archeologico a Gaza. In questo contesto, il 2025 ha confermato quanto prendere parola, per la cultura, significhi oggi esporsi: a critiche, a pressioni, ma anche alla necessità di ridefinire il proprio ruolo pubblico in un mondo attraversato dal conflitto.

Reddito agli artisti e il dibattito globale sul welfare culturale
Al centro del dibattito culturale del 2025 vi è stata anche, senza dubbio, la questione del welfare culturale e del sostegno economico agli artisti. A stimolare la discussione è stato soprattutto il Basic Income for the Arts lanciato quest’anno dal governo irlandese per sostenere economicamente il lavoro artistico: un contributo mensile di circa 1.300 euro erogato a oltre 2.000 artisti e operatori culturali per ridurre la precarietà e consentire loro di dedicare più tempo alla propria pratica creativa.
Il programma, nato come progetto triennale (2022-2025) e in corso di valutazione, ha rilanciato un dibattito ben più ampio sul ruolo dello Stato nel riconoscere l’arte come lavoro e bene pubblico. Il caso irlandese emerge in un contesto internazionale in cui diversi Paesi tentano di rispondere in modi differenti alla stessa domanda: l’arte deve essere sostenuta come servizio pubblico o premiata come eccellenza individuale?
Francia, Germania, Paesi nordici, Scozia e altri sistemi europei mostrano approcci variegati: dall’intermittence du spectacle francese alla previdenza tedesca per artisti, fino ai sussidi pluriennali nei Paesi nordici, passando per borse di studio e grant competitivi. Tuttavia, come evidenziato nella nostra inchiesta, il lavoro artistico rimane strutturalmente fragile e la ricerca di modelli efficaci di sostegno economico resta aperta.

Furti, proteste e fragilità museali: il caso Louvre
Una delle notizie che più ha scosso il mondo dell’arte – e non solo – nel 2025 è stato il clamoroso furto di gioielli storici al Museo del Louvre di Parigi. L’11 ottobre, un gruppo di ladri mascherati si è introdotto negli spazi del museo e ha trafugato otto preziosi pezzi della collezione reale dalla Galerie d’Apollon, in un’azione rapida e pianificata: “alla Lupin”, si potrebbe dire.
Il furto è stato il culmine di un momento già estremamente critico per il museo parigino, alle prese con problemi strutturali e conservativi sempre più evidenti. Nel corso dell’anno, il Louvre è infatti finito al centro dell’attenzione anche per danneggiamenti a oltre 300 opere della collezione egizia causati da un allagamento, conseguenza della fragilità dell’edificio storico. A ciò si sono aggiunte le proteste sindacali e gli scioperi del personale legati alle condizioni di lavoro e alla sicurezza, che hanno portato, nel mese di dicembre, alla temporanea chiusura del museo.
Ma il 2025 si è rivelato un anno difficile per la sicurezza museale anche al di fuori dell’Europa: un caso esemplare ci perviene dalla Biblioteca Mário de Andrade di São Paulo in Brasile, da cui sono state rubate otto incisioni di Henri Matisse e cinque opere di Candido Portinari all’inizio del mese di dicembre.

Cultura e guerra: l’Ucraina e il museo russo di Mariupol
Nel 2025 il conflitto in Ucraina ha continuato a produrre conseguenze devastanti non solo sul piano umano ma anche su quello culturale. È in questa situazione drammatica che si inserisce l’apertura di un museo russo a Mariupol, città simbolo della distruzione bellica e dell’occupazione militare. La nuova apertura costituisce per molti una forma di appropriazione culturale e di riscrittura forzata della memoria da parte dell’esercito russo. L’esempio del Pole Bitvy di Mariupol ha mostrato chiaramente come i musei non siano spazi neutri o separati dal mondo, ma attori silenziosi anche all’interno dei conflitti contemporanei.
Il caso di Mariupol si inserisce in una più ampia strategia di controllo simbolico del territorio, confermando come la cultura sia oggi uno dei campi di battaglia centrali nei conflitti contemporanei. Al tempo stesso, numerosi sono gli artisti che hanno preso posizione sul conflitto in Ucraina, anche attraverso le proprie opere. Ne è un esempio l’installazione site specific di Barbara Kruger: un intervento di poesia visiva sulla superficie esterna di un treno Intercity che ha attraversato l’intero paese. In maniera simile, un’opera storica di Jannis Kounellis è ritornata a suonare in un’antica cattedrale di Kiev.













